Questo articolo, gentilmente pubblicato da Effimera, è parte dell’intervento sui femminismi postcoloniali e intersezionali tenutosi al Campo Politico Donne di Agape, il 25 luglio 2016. Quella che segue è la condivisione di alcune esperienze conosciute direttamente e attraverso la ricerca accademica condotta a Parigi tra il 2015 e il 2016.
“In questo momento, necessitiamo di strumenti utili per posizionarci in modo complesso di fronte alle differenze di etnia, classe, genere e religione, modalità che vanno oltre il multiculturalismo come semplice retorica di tolleranza, ma anche oltre semplici dualismi tradizione/progresso occidentale. Dobbiamo interrogarci su come adattare i nostri strumenti teorici e metodologici per evitare che i discorsi sulle identità sessuali e di genere finiscano per dare supporto, anche involontario, all’islamofobia”.
Laura Fantone, Perché leggere critiche femministe postcoloniali oggi, in Italia?[1]
Inizio col riprendere uno dei termini che ho indicato alla staff del Campo per presentarmi: islamo-gauschiste. Letteralmente si potrebbe tradurre come “islamo-sinistroide” o “sinistroide islamista”: si tratta di un appellativo considerato infamante e utilizzato in Francia verso quei militanti di sinistra che appoggiano le lotte delle persone musulmane e/o figlie dell’immigrazione postcoloniale. Come in molti altri casi, penso ai termini frocia o queer, anche islamo-gauchiste è stato rivendicato dalle e dai militanti francesi come descrittivo delle proprie identità e delle lotte politiche da loro intraprese. Per questo pure io, trovandomi a metà tra la ricerca accademica in studi islamici e la militanza politica radicale, ho deciso di riappropriarmi dell’identità diislamo-sinistroide…
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